Il Codice Atlantico – o Codex Atlanticus, conservato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano, che lo possiede dal 1609 – è uno dei corpus di disegni e annotazioni più conosciuto di Leonardo da Vinci.
Al suo interno si trovano diversi disegni noti al grande pubblico tra i quali studi di volo e di architettura.
L’intervento di restauro, iniziato nel 1962 e terminato 10 anni dopo, per il recupero del Codice portò alla scoperta sul retro del foglio v133 di un disegno che riportava una bicicletta con tanto di pedali e catena, invenzioni affermatesi circa 400 anni più tardi. Augusto Marinoni, che curò la pubblicazione del codice negli anni ’70, attribuì il disegno non alla mano del Maestro, ma a quella di un suo allievo, Gian Giacomo Caprotti – detto Salai – che avrebbe copiato uno schizzo di Leonardo stesso.
La notizia della scoperta provocò critiche al Marinoni e gli studiosi si dividero sul darne la paternità o meno a Leonardo.
A smascherare il falso è nel 1999 il tedesco Hans Ehrard Lessing in uno scritto pubblicato negli atti della “Cycling History Conference” svoltasi a Los Angeles. Lessing sostiene che quando nel 1961 Carlo Pedretti, considerato il massimo esperto di Leonardo, potè visionare i fogli 132 e 133 del Codice Atlantico, all’epoca incollati tra loro, osservò in trasparenza solo due cerchi e due linee trasversali. L’autore del falso sarebbe quindi lo stesso Marinoni che ne annunciò la scoperta.
Le analisi dell’inchiostro usato per il disegno però datano lo stesso a non più di 120 anni prima del restauro del Codice Atlantico e per questo motivo invece Carlo Maccagni, direttore del Centro di storia della tecnica del Cnr, riconduce il falso ad un “burlone” ottocentesco.
L’enigma rimane!
