Lungo i secoli, poeti itineranti, menestrelli , rapsodi e cantastorie, in tutti i continenti, si sono specializzati nel conoscere e recitare lughe storie che servivano non solo per intrattenere, ma anche per tramandare gran parte del patrimonio culturale di una civiltà in un’epoca in cui le popolazioni erano poco alfabetizzate.
Il caso più illustre e studiato è quello della poesia omerica. Quando furono messi per iscritto, verso il VII secolo a.C. Iliade e Odissea, i due poemi epici greci fondamentali avevano alle spalle secoli di tradizioni orali. Dalla sparizione della scrittura sillabica della civiltà micenea (XII secolo a.C.) alla prima diffusione della scrittura alfabetica (VIII secolo a.C.), la tradizione era affidata ai cantori – chiamati aedi – che ricordavano le vicende usando trucchetti mnemonici e improvvisando. Se anche la trama era la stessa, le performance non erano mai una uguale all’altra, perché la narrazione era arricchita da epiteti, frasi fatte e interi blocchi di versi usati come “ponti narrativi”. Erano il ritmo accentato dei versi (accompagnati dalla musica) e l’uso della rima i principali aiuti alla memoria: perciò i poemi erano in poesia e non in prosa.